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Bulletstorm è un giro sull’ottovolante.
Un giro sull’ottovolante in un luna park abbandonato, un luogo ormai invaso da un misto di erbacce e freschi fiori selvatici, custodito da un  guardiano lercio e sboccato.

Poesia e merda, splendore e volgarità.
Divertimento come se piovesse.
Tutto in un solo gioco.

In Bulletstorm, quando cade qualcosa di grosso, è *grosso* davvero.

Lo ammetto: nel lontano 2011, a spanne l’epoca in cui è uscito Bulletstorm, ero arrivato ad un *leggero* punto di saturazione per quanto riguarda FPS e affini.
Specifico.
Il solo avvicinarmi ad un gioco con pistole, bazooka, fucili di precisione e strafe laterali era in grado di causarmi svariate e disgustose alterazioni della cute. Roba che in confronto le Malattie Imbarazzanti di Real Time sono un passeggero acne giovanile.

Una volta superata questa fastidiosa forma di allergia, ho iniziato a guardarmi attorno cercando di recuperare il terreno perso. Una sbirciata sul mio forum di videogiochi preferito, un ascolto galeotto del podcast più gameplay friendly del circondario [che lo elegge addirittura GOTY 2011] e Bulletstorm passa in un lampo da “giochino generico con pistole” a “gioco da provare almeno una volta nella vita”.
Infatti me ne dimentico.
Poi, ringraziando Sony e il suo servizio di beneficenza per bimbi poveri Playstation Plus sono finalmente riuscito, agli albori del 2013, a giocare il gioco di cui tutti parlano. O meglio, hanno parlato.

Com’è quindi questo Bulletstorm?
In una parola, divertente.

 

Faster, better, bigger. Su PS3 però corcazzo che ha ‘sta grafica.

Si ma cos’ha di bello questo giochillo, per renderlo così interessante addirittura due ere geologiche dopo l’uscita?

Innanzitutto, la meccanica di sparo è appagante. E per un FPS scusate se è poco.
Che stiate usando una mitra con colpo speciale a supercazzole rotanti, uno pseudo-revolver steampunk o un fucile di precisione teleguidato [no kiddin’], schiacciare il grilletto procura sempre una soddisfatta razione di dopamina.

Quello che però fa entrare di diritto Bulletstorm nel girone psicotropo del “un altro livello e smetto” è il geniale utilizzo dei punti stylish.
Potenziamenti per le armi, acquisto di caricatori e colpi speciali, tutto passa per un punteggio che è la vera moneta corrente nell’economia del gioco. Facendo leva sullo sgravatissimo laccio magnetico e su un sistema di calci al bullet-time, i designer spingono continuamente il giocatore a creare la morte più spettacolare per la carne da macello che sono i nemici.
I livelli sono dei piccoli laboratori di morte creativa. Piante carnivore, bomboloni del gas, cavi elettrici e spuntoni. Spuntoni ovunque.
Le ondate arrivano ininterrottamente, si riversano sul giocatore che avanza sparando, scalciando, sbatacchiando omini a destra e sinistra e lasciandosi dietro di sé curiosi pupazzetti appesi in ogni dove.

Il punteggiometro cresce glorioso sparo dopo sparo.
Dopaminaaahhhh….

Tipico nemico di Bulletstorm dopo lo scontro a fuoco.


Fin qui però sembra solo un normale gioco sanguemmerda, seppur con un sistema di punteggio atipico.
Dove Bulletstorm si distingue ulteriormente dalla concorrenza è nel tono generale dell’avventura.

Le situazioni in cui si trova il protagonista [più figo dell’universo] si alternano in un’escalation di assurdità, i momenti WTF? si susseguono senza sosta per il giocatore e il suo sorriso da beota. Spoilerare sarebbe un crimine per chi non l’ha ancora giocato.

I dialoghi sono l’apice raggiunto da questa perla di divertita volgarità. A differenza del doppiaggio di giochi come Killzone, in cui per espressività e sagacia sembra di assistere a dei Teletubbies che pestano una merda, in Bulletstorm i personaggi imprecano, insultano e si mandano a fancoolo senza remore, sempre restando credibili e mantenendo un generale tono scanzonato.
Probabilmente in un gioco dalle atmosfere più seriose la quantità lorda di parolacce sarebbe stata fuori luogo e di cattivo gusto, qui invece sembra dare spessore e atmosfera.

Di certo non è un gioco che porterei in una riunione del MOIGE.

Un rappresentante MOIGE dopo aver visto 20 secondi di gioco.

Ma parlaci della trama, dite.
La trama non esiste.

Avete presente quella volta che siete andati a Gardaland e siete saliti sul Blu Tornado? Ecco, la trama di Bulletstorm è molto simile. Solo senza coda di 45 minuti per entrare.

Esteticamente si difende bene anche sulla versione-sfigo [PS3], nonostante i due milioni di anni passati dall’uscita. La graficozza fa il suo sporco lavoro per tutta la durata del gioco, scorrendo fluida, liscia e burrosa.
Menzione d’onore per gli sfondi, che soprattutto nella seconda metà del gioco presentano degli scorci particolarmente evocativi. Buona anche la palette di colori usata, che tende a staccarsi dal grigiomarrone-acciaioemmerda solito delle produzioni Unreal Engine.

L’online come prevedibile non l’ho toccato manco con un bastone, ma mi dicono non sia niente di che.

Una gradita scoperta, un rimpianto per non averlo giocato prima.
Personalmente, mio gioco dell’anno [2011].

Voto: 6/6

Su una scala che va da “basta FPS, basta sparare!”  a “ti sparo, ti accalappio, ti calcio, ti sparo di nuovo e poi ti crocifiggo su una pianta grassa. Poi ti sparo.”

Vito

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